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I LOVE SICILIA 11 N.96- 2014

IO AMO LA SICILIA

IO AMO LA SICILIA

Di Francesca Cuffari

L’arte è la sua vita e la sua vita stessa è arte, in un rapporto senza soluzione di continuità, in cui l’uomo è <una scintilla dentro un corpo>. Un’espressione tanto cara a Claudio Arezzo di Trifiletti, l’artista catanese riconosciuto nel mondo per gli i progetti di “Imprints” e per l’importante attività di comunicazione-contaminazione che lo vede personalmente impegnato. Erano gli anni dell’adolescenza, quando attaccava bottone con chiunque incontrasse per strada, grande o piccolo. Seduti ad un tavolino che guarda il mare infrangersi nell’insenatura del porticciolo di Ognina, un angolo di paradiso cittadino, mi chiede di guardare l’orizzonte mentre ordina una granita con panna ed una briosce calda, naturalmente. L’inverno catanese, d’altronde,  è troppo mite per pensare di mettere in soffitta un rituale così godurioso. Uno sguardo intenso, capace di penetrare ciò che cattura la sua attenzione e dar vita a lunghi sfoghi di parole che animano chi lo ascolta. Un buon oratore, senza dubbio, ed un buon orecchio al contempo. Ricorda ancora i bei pomeriggi all’insegna della spensieratezza, trascorsi in strada, in una piazza Lincoln molto diversa da quella odierna, in compagnia di un venditore ambulante di piante e fiori che oggi non c’è più. “La mia paghetta settimanale era quasi interamente destinata all’acquisto di piante di stagione che arredavano i balconi di casa. Tutti in zona conoscevano il mio “pollice verde” finché un giorno mia madre chiese ai commercianti di non assecondare le continue richieste del figliolo spendaccione!”. La scelta universitaria all’insegna della facoltà di agraria, l’unica meta a lui congeniale ben presto però messa da parte. Del suo passato si conosce l’attività “sperimentale” nella organizzazione di eventi  e nella creazione di un locale night life. Poi la conoscenza diretta del magico mondo dell’oriente che lo affascina. Lì la svolta. Le sue innumerevoli tele molte delle quali affastellate sono l’espressione di un linguaggio universale che va ben oltre le frammentazioni linguistiche e dialettali. Love, peace, mater water, alcune tra le parole che impregnano le sue opere. Tanti i progetti ancora in una fase embrionale e, tra questi, anche un’attività ristorativa di cui ne immagina alcuni tratti: “Un ristorante luogo di incontro – laboratorio in cui, anche fuori dalla fascia pranzo, poter convogliare energie positive”. Completato lo step “Imprints Venezia” che ha coinvolto 5 blog internazionali, 4 locali e tanti canali diversi di comunicazione, è passato alla lavorazione dell’argilla, materia prima che gli permetterà di creare connessioni con la Francia e l’Africa. “Il percorso con l’argilla dipinta d’oro – racconta mentre affonda il cucchiaino nella coppa di granita – inizia durante il soggiorno ad Abu Dhabi di qualche anno fa, quando il prezzo dell’oro raggiunse valori alti.

Cosa rappresenta l’arte per te? 

“Una compagna con cui condividere la vita, non una semplice professione da esercitare a tempo. E’ parte integrante di me. Picasso  – sosteneva l’idea che l’arte fosse un inganno in grado di raccontare la verità, come dargli torto?”

Cosa vuoi comunicare con il tuo fare arte?

“La mia idea è trasmettere il sentore di un ragazzino che si pone mille quesiti. Che si chiede quando diventerà adulto ed andrà via dalla casa dei genitori anche se, per quanto mi riguarda, ancora oggi condivido la casa con le (mie donne), mamma e nonna!”

Ma un’artista diventa adulto?

“No, non credo. La mia strada è proiettata alla ricerca del bambino che ho dentro. Perché i bambini sono l’espressione della purezza; non sentono la brama del possesso ma desiderano solo catturare l’attenzione degli adulti. Se diventassi adulto entrerei nel copione della crisi, del grigiume e di quei discorsi all’ordine del giorno. Ma la vera crisi, quella che di cui pochi parlano, è la crisi di pensiero: assistiamo a pensieri preconfezionati e senza contenuto, noiosi”.

Quale rapporto instauri con i tuoi manufatti?

“Sento una grande responsabilità verso di loro. Perché lavoro con le vibrazioni. I manufatti sono figli che vivono nella Casa museo sotto l’Etna, il mio laboratorio, una sorta di cattedrale dei folletti, se volessimo raccontarla con una fiaba. Ben presto diventeranno maggiorenni e mi piacerebbe possano essere fruiti da un pubblico eterogeneo. Pensa che hanno dedicato due tesi di laurea, una gran bella soddisfazione per un <papà>!”

Un creativo a tutto tondo.  Sopra le righe, non classificabile. Da anni in piena fase di ricerca in un continuo andirivieni tra passato e futuro senza dimenticare il fanciullo che sta dentro. Un’anima sensibile che trae linfa vitale anche dalla sua Catania, “che ha l’energia di un vulcano incastonato nella terra dalla tre punte, la Sicilia ma ancora oggi vive una condizione di chiusura. Quasi fosse inaccessibile. Perché? “Il potere, nella sua accezione peggiore, va messo da parte. Occorre fare, piuttosto, produrre. Guardo al consiglio comunale senza particolare interesse e vedo amministratori volenterosi ma ciò non basta. Catania racchiude potenzialità infinite e solo in piccola percentuale sfruttate. Fino a poco tempo fa si parlava dell’imminente fine del mondo; piuttosto va riletta come fine di un’era fatta di ipocrisia, dinnanzi alla quale iniziamo a provare vergogna. D’altronde, il rovescio di love, amore è velo. E appunto questo velo oggi è stato tolto”.

C’è una via d’uscita? Un rimedio anticrisi?

“La chiusura del cerchio è rappresentata dal ritorno alla natura. Qualsiasi artista che nasce in città sente prima degli altri la pesantezza dell’aria intorno ed io manifesto una certa difficoltà a respirare. Vivere in campagna ed in compagnia di persone serene: questo può regalare grandi benefici. Breathe art, è un mio progetto per respirare a pieni polmoni”.

Qual è il tuo ultimo pensiero prima di addormentarti?

“Chiudo gli occhi e ringrazio. La mia famiglia, innanzitutto, perché da lì ho avuto inizio. E poi tutto ciò che mi circonda. Ho visto bambini correre senza gambe,  pantegane uscire dal water nei paesi del terzo mondo. E ringrazio per l’acqua calda, un lusso a cui ormai siamo abituati”.

Claudio, cos’è per te la felicità?

“Una lepre che va inseguita. Ed è proprio l’inseguimento che provoca felicità. Ti fa battere il cuore, sei sovraeccitato. Ed è già passata”.